Il vino racconta la storia dell’Umanità: da quando abbiamo costituito le prime comunità stanziali alle esplorazioni spaziali, il vino accompagna la nostra vita ed è sinonimo di socializzazione e benessere.
ArsWine.it ti propone stimolanti viaggi nel mondo e nel tempo del vino, con itinerari a volte brevi, a volte più lunghi e articolati, alla scoperta di storia, cultura, curiosità, legami col mondo dell’arte, aneddoti, citazioni, socialità, miti e religioni, ricette e tanto altro... lasciati ispirare!
Origini preistoriche del Vino
La vite selvatica cresce spontaneamente in natura, fin da 200-250 milioni di anni fa; fu addomesticata e resa produttiva solo quando l’umanità passò da uno stato nomade di cacciatori e raccoglitori a formare comunità stanziali, avviando l’agricoltura. La coltivazione della vitis vinifera, “portatrice di vino”, si fa risalire a circa 8000-6000 anni prima di cristo, nell’antica regione che si estendeva lungo la catena montuosa del Caucaso e che comprendeva la Georgia, l’Armenia, l’Azerbaigian e parti della Turchia.
Siamo quindi in pieno Neolitico, ultima fase dell’età della pietra (8000-3500 a.C. circa). Gli archeologi giungono a questa datazione grazie ai ritrovamenti di semi che presentano tratti morfologici esclusivi dell’uva coltivata. La datazione effettuata con il metodo del carbonio 14 riporta la data del 7000-5000 a.C. per quelli più vecchi, rinvenuti in Georgia; e sempre in Georgia, nella zona di Tbilisi, è stata trovata la prova inconfutabile della presenza di vino nell’antichità, grazie alle tracce di acidi malico, citrico, succinico e tartarico.
Le testimonianze archeologiche registrano la presenza della vitis vinifera in siti degli odierni territori della Cina dal 7000 a.C. circa, dell'Iran dal 5000 a.C., della Grecia dal 4500 a.C., in Sicilia dal 4000 a.C., in Egitto dal 3000 a.C. circa. Ma è in Armenia che si trova la “cantina” vinicola più antica del mondo, risalente al 4100 a.C.
A circa due ore dalla capitale Yerevan, nelle rigogliose colline di Areni, coltivate a frutteti e vigneti, si produce il rinomato vino di Areni, ottenuto da uno dei vitigni più antichi al mondo, la vitis Areni, fonte di vini rossi sia leggeri che corposi, citati anche da Senofonte nel IV secolo a.C.: nella sua opera Anabasi, il filosofo ateniese menziona il transito dei mercenari greci attraverso il sud dell'Armenia e il loro accampamento presso abitazioni ben fornite di viveri e di vino, conservato in cisterne rivestite di calce.
Nell’antica cantina, identificata dagli archeologi nel 2007, sono stati ritrovati numerosi reperti: strumenti per la produzione del vino, tappi e recipienti in ceramica, nonché una vasca utilizzata per la pigiatura dell'uva.
>>> Curiosità: se la più antica cantina di vino finora ritrovata risale al 4100 a.C., la bottiglia di vino (ancora chiusa) più antica è datata tra il 325 e il 350 d.C. – è la famosa “bottiglia di vino di Spira” (o “Römerwein”), un recipiente sigillato, all'interno del quale si presume ci sia vino, dissotterrato nel 1867 da una tomba romana trovata nei pressi di Spira, nella regione Renania-Palatinato in Germania. <<<
Dall’Armenia all’Egitto, passando per la Mesopotamia
Dall’Armenia, con ogni probabilità, il vino arrivò in Grecia, in Mesopotamia e da qui in Egitto. A Babilonia era chiamato “birra delle montagne” (šika šadî) come si legge nel più antico testo mesopotamico inerente al vino: un'iscrizione del sovrano di Lagash Urukagina datata al 2340 a.C. in cui è annotata la costruzione di “una casa di riserva della birra di montagna conservata in giare”. Altre incisioni reperite testimoniano che in Mesopotamia il vino fu sempre percepito come proveniente da un non meglio precisato “altrove”, dalle zone montuose in direzione della terra armena o della regione siriaca.
Il vino nel “paese tra i due fiumi” era un bene di lusso, riservato alle divinità e ai nobili, come testimonia un bassorilievo di una roccia davanti al fiume İvriz Çayı nell'odierna Turchia (X-VIII secolo a.C.) che raffigura il re hittita Warpalawa mentre offre un grappolo d'uva alla divinità Tarhunzas. E dal Codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.) veniamo a sapere che, presumibilmente, il vino era custodito nel tempio sacro, a cura delle sacerdotesse che, ove trovate mancanti nella cura – ovvero se avessero aperto la porta d'ingresso alle riserve di vino del tempio – sarebbero state condannate al supplizio del fuoco.
Anche gli Egizi veneravano il vino come dono divino e lo usavano tanto nella vita quotidiana quanto nei rituali religiosi, almeno a partire dal terzo millennio a.C. (periodo predinastico, Naqada III). È a quest’epoca che si fa risalire la coltivazione della vite e la produzione del vino in Egitto, in virtù della datazione di semi di vitis vinifera (oggi conservati nel Museo dell'Orto Botanico di Berlino) e di numerosi reperti archeologici, come pitture e bassorilievi nelle tombe, tanto dei faraoni quanto di alti funzionari – rimarchevoli quelle della V dinastia a Saqqara.
Gli antichi egizi utilizzavano tecniche di coltivazione e vinificazione avanzate per l'epoca: coltivavano a pergola e sono stati probabilmente i primi ad utilizzare i graticci (attrezzature più alte della statura di un uomo, utili a tagliare i grappoli d’uva che scendono lungo i pergolati) e la pigiatura dell'uva in vasche. La fermentazione avveniva inizialmente nelle giare aperte, poi in anfore con il tappo, nel quale un forellino (che veniva poi sigillato a preparazione conclusa) lasciava uscire il diossido di carbonio, evitando che la giara esplodesse.
Irep nefer, il vino (buono) di Cleopatra e dei Faraoni
Il vino prodotto era rosso tannico, rosato e bianco, e veniva spesso addolcito con miele o spezie. Il vino bianco dolce Mareotico era particolarmente apprezzato in epoca greco-romana, e aveva una fan d’eccezione nella regina Cleopatra; e anche il faraone Tutankhamon era un appassionato bevitore, anche di vino di melograno – nel suo complesso funebre sono state trovate più di 30 anfore di vino, che sono risultate utili anche per la ricostruzione degli anni di regno di questo importante condottiero!
La passione degli antichi Egizi per Irep – il vino – è documentata anche dalla incredibile cura delle etichette, che competono con quelle moderne in quanto ad esaustività delle informazioni: i contenitori del vino dell’epoca erano incisi con scritture ieratiche (un tipo di geroglifico in corsivo utilizzato principalmente per le pratiche quotidiane), che indicavano il tipo di prodotto, l’anno di vendemmia, la qualità e la dolcezza, l’origine geografica, il tipo di proprietà e altre caratteristiche e dettagli... nonché la valutazione:
· 1 bicchiere – per dirla con linguaggio moderno: nefer (buono);
· 2 bicchieri: nefer nefer (più che buono);
· 3 bicchieri: nefer nefer nefer (molto buono).
>>> Sapere cosa si beve è importante... fin dall’antichità! Noi di ArsWine.it ci impegniamo a fornirti tutte le informazioni importanti dei vini che proponiamo nella scheda prodotto, compresi gli abbinamenti consigliati. <<<
Se in Egitto il vino era una bevanda apprezzata principalmente dall'alta società, e la popolazione comune consumava soprattutto birra, più facile da produrre e meno costosa, la cultura greco-romana lo rese alla portata di tutti.
La Grecia e gli influssi Fenici
In Grecia, come accennato, sono state trovate tracce di coltivazione della vite risalenti al 4500 a.C. circa; ma è verosimile che una vera “cultura del vino” si sia sviluppata solo più tardi, grazie all’influenza dei Fenici (2000-1500 a.C. circa).
I Fenici e i loro discendenti punici di Cartagine erano abili viticoltori e vinificatori; i trattati agricoli dello scrittore cartaginese Magone, non sopravvissuti ma citati e riportati parzialmente da autori greci e romani, mostrano come queste civiltà fossero capaci di pianificare vigneti in base a clima e topografia favorevoli, come ad esempio quale lato di un pendio fosse più ideale per la coltivazione dell'uva, e di produrre un’ampia varietà di stili di vino diversi, che vanno dai vini paglierini prodotti da uve appassite a un primo esempio del moderno vino greco retsina, realizzato con resina di pino come ingrediente. Diedero anche un notevole contributo alla diffusione dell'uso delle anfore (spesso chiamate “vasi cananei”) per il trasporto e la conservazione del vino.
A partire dal XII secolo a.C. circa, la Grecia micenea, grazie a tecniche di vinificazione e conservazione avanzate, cominciò ad esercitare un florido commercio in tutto il Mediterraneo del vino, che veniva coltivato in una vasta area che si estendeva dalla Grecia continentale alle isole del Mar Egeo, sotto gli auspici e la “supervisione” del dio Dioniso.
Per la conservazione, i greci usavano la resina di pino, aggiunta al vino, per favorire la fermentazione; e anfore di terracotta per l'invecchiamento.
Nella coltivazione non adottavano forme d'allevamento a pergola, come facevano invece gli egizi o come venne poi fatto in Italia: lasciavano le viti libere di scorrere sul suolo, evitando il contatto diretto del frutto con il terreno stendendo sul suolo rami o stuoie e curando poi, nella stagione estiva, la pulizia del fogliame, che veniva diradato per diminuire la traspirazione e far passare più luce per la maturazione dei frutti e di conseguenza un maggior tenore zuccherino.
Secondo Esiodo, che ne scrive ne “Le opere e i giorni”, la vendemmia avveniva all'inizio d'ottobre, quando Orione e Sirio si levano a metà della notte ed Arturo appare al mattino. Altre testimonianze indicano che solitamente la vendemmia si svolgeva a settembre: la pigiatura era eseguita in conche di legno d'acacia stagionato, e mentre una parte del mosto veniva consumata subito, con leggere aggiunte di aceto, la gran parte era destinata alla vinificazione, attraverso la fermentazione in grandi vasi di terra cotta (3,5 metri di altezza e un'apertura di un metro), detti pithoi, interrati profondamente in apposite cantine e cosparsi esternamente di resina e pece. Questa tecnica conferiva al vino un aroma particolare, che si riscontra tuttora nel vino resinato greco. Dopo sei mesi di permanenza nei pithoi, si procedeva alla filtrazione ed al travaso del vino in otri o anfore di terracotta appuntite per permettere la decantazione di eventuale deposito.
>>> Per saperne di più sull’aceto – la sua storia, gli abbinamenti, le ricette stellate leggi gli articoli dedicati sul blog ArsWine.it a cominciare da questo <<<
Il vino poteva così essere commercializzato e finire sulle tavole dei greci fin dalla colazione! Grazie agli scritti di Omero sappiamo infatti che già durante l'ariston – il primo pasto del mattino – sulla tavola c’era il vino: “Eumeo servendo sul tagliere le carni arrosto avanzate dalla sera, si affrettò ad ammucchiare nelle ceste il pane di frumento ed a mescere nella coppa un vino profumato di miele.” (Odissea XVI, 48-50)
Anche in Grecia la presenza del vino sulle tavole era uno status symbol, appannaggio delle classi più abbienti a causa della complessità e del costo della sua produzione. Nondimeno, molte erano le regioni vitivinicole; Omero, nell’Iliade e nell’Odissea, cita:
· l’isola di Lemno, che riforniva di vino i guerrieri impegnati a Troia;
· la Frigia, da cui proveniva il vino che invece consumavano i Troiani;
· Arne, nella Grecia centrale, una terra “ricca di viti”.
Sempre Omero, inoltre, racconta nell’Odissea di quando Ulisse fa ubriacare il Ciclope Polifemo con il vino rubato al sacerdote Marone, “un vino rosso dolce come il miele”: un vino talmente forte che si beveva diluito con venti parti di acqua e che, invece, Polifemo bevve senza freni, causando così la sua fine.
Invero, il vino prodotto a quei tempi nell'area del Mediterraneo era spesso forte e concentrato: a causa delle tecniche di vinificazione e conservazione (soprattutto la bollitura), il vino risultava essere una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Era quindi necessario allungarlo con acqua e aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole e renderlo più gradevole alla beva.
Life Style degli antichi greci: vino e simposio.
Il vino è il protagonista assoluto in uno dei principali simboli del “life style” della Grecia Antica: il simposio. Se il banchetto, il pasto principale, era incentrato sul mangiare, il simposio era il cuore della socializzazione “culturale” e aveva natura più conviviale, meno legata al cibo e più all'intrattenimento, alla condivisione alla quale si dedicavano i partecipanti, accompagnati da quella che oggi chiameremmo una degustazione di buon vino e coordinati da un “maestro di cerimonie”, il simposiarca. Costui aveva il compito di miscelare e diluire il vino, moderare il bere, assicurando il rispetto del galateo – come e quanto bere, come comportarsi e come intrattenere gli altri commensali – in maniera tale che il simposio rimanesse un momento di piacevolezza e non degenerasse in ubriachezza e disordine.
I vari intrattenimenti del simposio potevano riguardare la recitazione di poesie, canti, giochi e discussioni su vari argomenti, spesso di carattere filosofico o politico e il vino era visto come un elemento di aggregazione sociale, un mezzo per creare legami e rafforzare l'amicizia tra i partecipanti.
La parola Simposio deriva dal greco symposion, “syn” insieme e posion “posis” bevanda, quindi bere insieme. E tu, insieme a chi vuoi bere?
Lasciati ispirare dalla cultura del simposio e scegli su ArsWine.it il vino o le bollicine più indicate per i tuoi commensali. Oppure un rosso strutturato, un amaro o una grappa per i tuoi momenti di solitaria riflessione e piacevolezza.
Alla prossima puntata! Scopriremo insieme la cultura del vino nell’Antica Roma e la sua diffusione in tutta Europa...
*********
Immagine: Simposio di Platone, autore Giovanni Battista Gigola (1796-1841)
Pittura su pergamena, cm. 69x48, Collezione dei dipinti dal XII al XVI secolo dei Civici Musei d'Arte e Storia di Brescia – Santa Giulia, Museo della città di Brescia (Italia)
La scena del simposio vede i convitati adagiati intorno al tavolo, in primo piano Alcibiade pone una corona sul capo di Socrate, sullo sfondo i servi ed il colonnato della sala.